Il significato dell’osservazione della sofferenza
Come dicevamo nell’articolo precedente, il resoconto della proiezione speciale del film de L’intervista in mare al G7 di Siracusa (qui l’articolo) non poteva dirsi completo senza il racconto di tutte le emozioni vissute prima, durante e dopo l’evento.
Sono passati molti mesi e ora troviamo il coraggio e la necessaria lucidità per raccontare tutto e soprattutto per riflettere.
La gioia del ritorno ad Ortigia il 25 settembre, dopo i giorni stupendi passati nello stesso luogo il luglio precedente, si è tramutata in angoscia, profondo dolore e smarrimento assoluto.
Erano le 22.00 ed eravamo a cena con la delegazione della Fai Cisl siciliana. Stavamo vivendo un bellissimo momento di convivialità, quando qualcuno accenna ad un incidente capitato a bordo di una lampara la notte precedente al largo di San Benedetto del Tronto. Le probabilità che la cosa riguardasse proprio la lampara dove abbiamo girato la notte de L’intervista in mare erano altissime. In tutto l’Adriatico sono rimaste meno di una decina di imbarcazioni che praticano questa tipologia di pesca (basata sulla circuizione delle sardine che vengono attirate dalla luce di alcune barchette che vengono calate in acqua dal peschereccio principale).
È bastata una breve ricognizione in internet per trovare due articoli che descrivessero sommariamente, e non senza imprecisioni, cosa fosse successo (qui e qui gli articoli in questione). Una delle barchette con due marinai a bordo si era inabissata e solo uno dei due ce l’ha poi fatta a salvarsi.
Tommaso Fioravanti non ce l’ha fatta ed è morto affogato all’età di 60 anni. Lo shock di leggere il nome del peschereccio, ritornare con la memoria al marinaio che più volte viene inquadrato nel nostro film e che era stato informalmente intervistato nelle prime ora dell’alba due anni prima, ci ha fatto piombare in uno stato d’animo di profondo sconvolgimento emotivo.

Facciamo un film per denunciare la condizione dei pescatori e la tragedia ci ritorna indietro ed esce fuori, in un certo senso, dal film.
Durante la notte che precedeva la proiezione del L’intervista in mare in un contesto di assoluta importanza istituzionale e dunque mediatica, ci siamo chiesti se era stato giusto andare lì in mare ad osservare… ad entrare nell’intimità di quelle persone… se anche la nostra operazione non fosse altro che una delle tante forme di sciacallaggio per usare la sofferenza degli altri per scopi propri o comunque non per loro.
Anche solo aver tratto piacere nel fare il film e magari la soddisfazione di vederlo un po’ girare i festival (come qui stiamo raccontando) ci sono sembrate, durante quella notte passata insonne, come cose totalmente sbagliate.
La mattina il timore che la tragedia venisse usata in maniera impropria per creare sensazionalismo (ovvimente con il fine ultimo di sensibilizzare sulle condizioni di lavoro dei pescatori) era a tal punto presente da rendere quasi insostenibile il momento di ribalta.
Ed invece tutto si è svolto con molta sobrietà e compostezza, a partire dal doveroso minuto di silenzio. Poi è arrivato il film.
Lo schermo, nonostante i timori, rende benissimo, è luminosissimo e grande, molto grande. L’audio regge e si sente chiaramente nonostante fossimo in piena fiera. La platea è di almeno un centinaio di persone e sono tutti attenti, attentissimi e ci accorgiamo che sono tutti completamente presi dal film! Intanto si avvicinano curiosi allo stand e si forma poco a poco anche una consistente platea che segue il film in piedi!
Dopo la proiezione, come abbiamo raccontato nel precedente articolo, inizia la tavola rotonda e capiamo come il film sia arrivato e come sia arrivato in profondità a chi ha un legame vero e diretto con il mare, con la professione e con la cultura del mare. Capiamo che l’obiettivo di dar voce ai pescatori è stato centrato perchè sentono che è la loro voce, che il personaggio è uno di loro!
Rimandiamo ad un post su Facebook pubblicato dai pescatori di Mazara del Vallo all’indomani della proiezione per la conferma di quanto appena detto.

Tutto allora ha ripreso ad avere un significato. Quella che per una notte era sembrata un sconfitta, è diventata fonte di nuova energia ed entusiasmo. Quello che avevamo fatto poteva essere davvero utile!
L’intervista in mare non è stata una scusa per imbarcarsi e fare qualche crociera. Eravamo lì per documentare con la massima discrezione e per far vedere sia le condizioni molto dure, sia il valore culturale, di un lavoro che sta sparendo.
Tutto questo ci ha comunque segnati in profondità, e se da una parte ci ha dato l’energia per proseguire il percorso festivaliero, che si è fatto è stato sempre più concitato, dall’altra ha certamente rallentato e ha un bloccato la comunicazione delle tante esperienze che poi abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo.
Abbiamo soprattutto sentito l’esigenza di raccontare anche questi aspetti più profondi, intimi e sociologici allo stesso tempo, del viaggio de L’intervista in mare. Ci capiterà ancora di prenderci tempo e spazio per delle parentesi diverse, e per noi necessarie, dove l’esigenza comunicativa della notizia o del resoconto, lascia spazio alla riflessione.