Libro intervista per L’intervista in mare

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L’importanza degli spazi, dei luoghi e dei modi per parlare del film

Ed eccoci con l’ultima notizia che ancora non avevamo dato riguardo al Festival del Cinema di Cefalù. Dal 15 dicembre 2024 è disponibile il libro di interviste intitolato Dietro la quarta parete: Conversazioni con sessantaquattro registi. Il testo racchiude una serie di interviste fatte a registi che hanno partecipato al Festival del Cinema di Cefalù. Dentro ci siamo anche noi con l’intervista al regista e sociologo Ludovico Ferro. Nel corso del lungo e interessante confronto è stato possibile affrontare molti temi, raccontare aneddoti sulle riprese, svelare i riferimenti diretti ad altri autori e film, parlare della nostra concezione di cinema e di quanto il nostro cinema sia legato al discorso sulla società. ( Il testo è disponibile all’acquisto su
Amazon a questo link).

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Ma perché abbiamo aspettato tutto questo tempo per dare la notizia? I motivi sono in parte già noti ai nostri lettori. Da settembre in poi è iniziato un periodo difficile e complicato che ha bloccato di fatto la possibilità di completare la nostra comunicazione. Ci siamo limitati ad alcune notizie imprescindibili. Forse anche questa lo era, ma eravamo fiduciosi di poter riprendere molto prima il racconto dei festival precedenti e quindi abbiamo aspettato. Poi negli ultimi mesi dell’anno scorso, e nei primi mesi del 2025, eravamo impegnati anche con le riprese del nuovo film (magari più avanti diremo qualcosa in più su questa nuova avventura) e di tempo ne è passato ancora.

Ci siamo poi accorti che questa notizia poteva essere l’occasione giusta per affrontare un tema che proprio nel corso dell’intervista abbiamo in parte affrontato rispondendo a una domanda su come era stato accolto il film dal pubblico. La nostra risposta si riferisce ovviamente all’esperienza del pubblico di festival e delle due occasioni, che fino a questo momento ci sono state, di proiezioni speciali. Nel rispondere ci siamo accorti che il film ha avuto sempre un’accoglienza molto buona, ma questa è stata ottima in quelle occasioni in cui abbiamo avuto modo di parlare del film.

In particolare, oggi abbiamo ben chiara l’idea che L’intervista in mare è un film che va anche spiegato. Lo avevamo concepito per essere fruibile da pubblici moto diversi tra loro. Questo sé senz’altro un obbiettivo che abbiamo centrato. Il film è comprensibile, fruibile e apprezzabile tanto da un pubblico generico che da un pubblico di cinefili oltre da un pubblico degli addetti ai lavori del settore della pesca. Non avevamo però messo in conto che questa scelta di rivolgerci ad una platea così eterogene andava spiegata. Perché non abbiamo fatto un film con solo immagini spettacolari e bellissime che pure avevamo in quantità? Perché,
secondo una prospettiva più canonica, non abbiamo inserito maggiormente le interviste vere dei pescatori di cui abbiamo tutto il girato? Oppure, ancora, perché il nostro film non si è sviluppato completamente come film drammatico e notturno in cui, come per la lunga sequenza della notte, a parlare sono solo le
immagini e i suoni e i rumori?

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Ecco, dove abbiamo avuto la possibilità di spiegare le nostre scelte stilistiche di scrittura e di regia, e di collegarle agli obiettivi e ai vicoli etici e morali che ci eravamo dati, il film è stato capito e apprezzato ad un livello più profondo.

Non è stato possibile farlo ovunque, ma le occasioni fino ad oggi sono state molte, e ciò che è più interessante è che ogni festival ha trovato il suo modo per permettere che ciò avvenisse.

All’Ortigia Film Festival il regista Ludovico Ferro è stato intervistato e il video sulla pagina Facebook dell’importante manifestazione siracusana, è ancora oggi l’intervista più visualizzata (qui il link). Dovrebbe essere evidente anche a chi ci conosce poco, che non abbiamo grande attitudine per la comunicazione social e soprattutto non viviamo sull’enfasi delle notizie che si consumano in poco tempo e devono essere subito rimpiazzate da altre che devono essere il più possibile altisonanti. A noi piacciono i discorsi di lungo periodo e più profondi.
Ecco, qui ad Ortigia, nonostante il web e i social, il nostro discorso sul senso del film siamo riusciti a farlo. Il merito non è però del mezzo, ma di chi lo ha saputo usare nella maniera giusta. Ovviamente il riferimento e il ringraziamento va ancora una volta all’organizzazione di un festival che punta certamente al glamour e ai film mainstream, ma che sa dare giusto spazio anche alle produzioni indipendenti come la nostra.

Un’occasione interessante in cui abbiamo avuto la possibilità di parlare del nostro film è stata al Caorle Film Festival. Prima ancora che il festival iniziasse eravamo stati intervistati con la formula, ancora web e social, del “minuto di spoiler” (qui il video). Un’intervista più ampia ci è stata fatta anche durante il festival. Ma poi l’occasione più importante ed inedita per parlare del nostro film è stata quella del panel collettivo con altri registi. Lì abbiamo potuto parlare e dialogare anche con gli altri autori e di fronte ad una platea qualificata da cui ci è arrivata una serie di domande molto
interessanti. Una formula questa del panel collettivo che abbiamo trovato davvero molto azzeccata e produttiva. Non è un caso che poi moltissimi colleghi registi abbiano voluto vedere il film, e che lo stesso sia oggi richiesto da chi era presente, per delle proiezioni speciali all’interno di alcune rassegne (di tutto questo daremo notizia nei prossimi tempi).

Neanche dieci giorni prima del Caorle Film festival alla Mostra del Cinema di Venezia avevamo avuto l’occasione di essere intervistati e parlare del film. In quel caso, oltre al regista de L’intervista in mare, era presente l’interprete Marco Manfredi che ha fornito il suo contributo dalla sua prospettiva di attore, ma anche di line producer per le riprese della parte di fiction.

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Alla proiezione del G7 di Siracusa, come abbiamo ampiamente raccontato, ci siamo dovuti presentare davanti al pubblico dando la notizia di una grave tragedia che ha coinvolto un dei pescherecci del nostro film (qui e qui gli articoli). Nonostante i nostri timori e il rischio di strumentalizzazione mediatica, questo è stato invece un momento fondamentale per spiegare cosa fosse L’intervista in mare e quale fosse la sua vera missione.

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Al Labour Film Festival abbiamo parlato alla platea dopo la proiezione e abbiamo risposto alle domande del direttore del festival. Il dialogo con il pubblico è continuato poi anche fuori dal cinema. Lì abbiamo avuto modo di spiegare le scelte stilistiche e il nostro rapporto con il produttore del film, la Fai Cisl. Il nostro fare un film che fosse, prima ancora che nostro, di Fai Cisl e in questo modo ancora di più un film dei pescatori, non è stata una scelta obbligata, ma una scelta voluta fin dall’inizio della fase di sceneggiatura. Possiamo qui chiarire che non avevamo voluto un budget ampio, anche se avremmo potuto richiederlo. La copertura finanziaria c’era già e non abbiamo avuto nessun tipo di pressione o indicazione sul come procedere.
Potevamo fare un film destinato solo ai festival o ad un pubblico di cinefili. Sarebbe stato il nostro film, ma solo nostro. E questo ci avrebbe in qualche modo inserito nella categoria di chi mette la propria arte (o i propri interessi) davanti a tutto e a tutti. La tragedia della Lampara di San Benedetto avrebbe svelato questa “appropriazione indebita” che invece non ci riguarda. Il film che avremmo potuto fare, e che non il produttore, ma i professionisti del cinema coinvolti nella produzione, si aspettavano, lo abbiamo racchiuso nella sequenza notturna proprio della Lampara.

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L’ultima occasione che abbiamo avuto per parlare del film è quella dell’incontro con il pubblico al Workers Unite! Film Festival. Non abbiamo usato il condizionale, nonostante effettivamente il Q&A con il pubblico programmato non sia avvenuto. Ma al Workers Unite! Film Festival è stato il pubblico, che abbiamo non a caso definito qualificato nell’articolo di resoconto, a stimolare la discussione su cosa sta dietro e alla base delle scelte cinematografiche di ibridazione tra documentario e fiction de L’intervista in mare. Il Workers Unite! Film festival vanta infatti una rete ampia di organizzazioni che ne sostengono l’attività e ne diffondono notizie, contenuti e approfondimenti anche tramite articoli su riviste e su web.

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In conclusione, il nostro è un film da vedere, ma su cui è necessario anche prendere informazioni, prima o dopo la visione. Le occasioni e le modalità possono essere molto diverse. Ad un festival prima o dopo la proiezione, o nel corso di un panel, sui social con video o articoli di approfondimento, oppure leggendo un’ampia intervista, come per il libro di cui abbiamo dato notizia all’inizio di questa ampia digressione (ad oggi questo è forse l’articolo più lungo che abbiamo scritto).

I più attenti osservatori potranno anche aver notato che una sezione del nostro sito www.lintervistainmare.it è dedicata a raccontare la genesi del progetto, le tappe della ricerca e che il tutto non si concluderà con il solo film, ma alla fine del percorso distributivo arriverà un libro che farà, in maniera molto più sistematica, e su vari temi, quello che qui abbiamo voluto in un certo senso anticipare oggi, ovvero l’analisi e l’approfondimento (qui il link).

L’intervista in mare è certamente il fulcro e il vertice di un progetto, che va però compreso e valutato anche per quelle che ne sono state le premesse e poi per quelle che sono già e ne saranno ancora, nelle fasi successive della distribuzione, le conseguenze.